Di Giulia Bondi
http://partiallyfree.wordpress.com
Kastanies,
il primo villaggio dopo la frontiera turca
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Il centro
di detenzione di Filakio
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La barricata di Evros, assicura il capo della Polizia di Orestiada Giorgios Salamagas, precisando che non si tratta di un “muro”, “risolverà il problema dell’immigrazione”. Intanto, prosegue Salamagas, “grazie ai rinforzi, già nell’ultima settimana di agosto 2012 non abbiamo avuto ingressi di clandestini, mentre nella prima metà dell’anno ne avevamo anche 300 al giorno”. “Servirebbero centri di detenzione umani, per distinguere chi è in cerca di lavoro da chi ha diritto a ottenere protezione”, commenta Panos, 38 anni, uno degli animatori dello sparuto gruppo “Stop Evros Wall”, formato da cittadini di Orestiada che si oppongono alla costruzione del “muro”.
Quasi tutti i migranti fanno comunque domanda di asilo per guadagnare tempo ed evitare la deportazione. “In teoria, chi è detenuto avrebbe diritto a una risposta entro 3 mesi”, chiarisce ancora Eleni Velivasaki: “In realtà ce ne vogliono 4 o 5, e in caso di decisione negativa si può ricorrere. A quel punto, si aspettano anni per vedere riesaminato il proprio caso”. Crisi e tagli al settore pubblico complicano le cose: “Ad oggi – aggiunge Eleni – a valutare le domande di asilo sono le stesse forze di polizia e le domande accolte sono pochissime”.
Chi entra in Grecia non sarebbe intenzionato a restarvi, ma le regole europee di “Dublino II” impongono che a esaminare le domande di protezione umanitaria debba essere il primo paese nel quale lo straniero viene identificato. Suil e Johe, 18 e 20 anni, dal
Molti attendono a Patrasso, come Han, 19enne somalo, sperando in un passaggio su uno dei camion che si imbarca per l’Italia. Han è accampato con decine di altri uomini, tra le palme, l’erba secca e i rifiuti. Una rete separa il loro “ghetto” dal viale costiero che congiunge il vecchio porto a quello nuovo. Scappato dalla guerra, vive di espedienti, rovistando nella spazzatura. Due giovani tunisini mostrano punti e ingessature: “Le ferite – dicono – ce le ha fatte la polizia”.
Dal 5 agosto 2012, con il nome surreale di Xenios Zeus (Zeus protettore degli stranieri), una serie di rastrellamenti ha portato migliaia di stranieri dalle strade ai centri di detenzione. Solo nel primo mese, la polizia ha fermato 16mila 836 migranti, di cui 2mila 144 privi di permesso. “Le persone sono state prelevate su base etnica, e nei centri di detenzione sono finiti molti stranieri che in realtà erano in regola”, conferma Eleni Velivasaki. Nel paese, la xenofobia dilaga. Secondo Human rights watch, nella sola Atene, nei primi 6 mesi
Profughi
siriani a Salonicco
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A Salonicco, Eksandar e la moglie Kauka passano la
serata su una panchina di Platia Dikastirion. Assieme al figlio 14enne sono fuggiti
da Homs , in
Siria, in primavera. Fino a Istanbul
in pullman, più altri 10 giorni con i trafficanti, fino al confine greco. Il
viaggio per tutta la famiglia è costato 16 mila dollari. Altri 12 mila se ne
sono andati a Edirne ,
rubati. “Erano i risparmi per raggiungere la Svezia”, spiega Eskandar in una
lingua mista di arabo, greco e inglese. Nell’attesa che la pink card greca
si trasformi in un documento valido, la famiglia vive in un centro
d’accoglienza. Molti degli altri ospiti sono afghani. “Da loro la guerra c’è
stata nel 2001. Ora vengono in Europa per motivi economici – protesta Eskandar:
– Noi invece siamo stati costretti a scappare, ci hanno bombardato la casa”.
Kauka estrae dalla borsa cinque o sei foto, le mostra come reliquie: tutti
insieme al mare, il figlio con il cappello rosso e il ponpon bianco il giorno
di Natale. “Siamo cristiani, con gli afghani facciamo fatica ad andare
d’accordo”, spiega Eskandar, e aggiunge: “I greci sono brava gente, ma la loro
legge è ingiusta”.
Prima di arrivare a Salonicco, Eskandar e famiglia hanno passato un mese nel centro di detenzione di Filakio, poco lontano da Orestiada. Per anni sovraffollato e fatiscente (“erano gli stessi migranti a danneggiarlo sperando di essere rilasciati prima”, afferma il capo della polizia di Orestiada, Salamagas), Filakio è stato ristrutturato con un investimento di 860mila euro. La polizia non lascia entrare i giornalisti e i migranti tentano di comunicare, con cartelli in inglese, attraverso le sbarre delle finestre: “Il governo greco ha trasformato i rifugiati in schiavi”, “Vogliamo libertà e pace”, “Non siamo criminali”, “Aiutateci”.
Dalla finestra parla Hussein: “Sono iraniano, facevo canzoni pop a tema politico e per questo sono dovuto scappare”, grida. Racconta dell’avvocato di Atene al quale lui e molti altri hanno pagato 800 euro a testa, e che ora non risponde più al cellulare. “Possiamo uscire 5 minuti al giorno, e telefonare unavolta
a settimana”, grida ancora in inglese. Il dialogo è spezzettato, presto sarà
interrotto dagli agenti. Alla domanda “Ci sono bambini?” squilla una voce
femminile, “Sì”, dalla finestra accanto. Le altre donne gridano: “Vogliamo la
libertà, siamo qui da tre mesi”. Da un’altra inferriata spuntano due polsi
incrociati, a simboleggiare la gabbia. Poi due dita formano una V di vittoria : la gabbia è in
Europa, e prima o poi se ne uscirà.
Prima di arrivare a Salonicco, Eskandar e famiglia hanno passato un mese nel centro di detenzione di Filakio, poco lontano da Orestiada. Per anni sovraffollato e fatiscente (“erano gli stessi migranti a danneggiarlo sperando di essere rilasciati prima”, afferma il capo della polizia di Orestiada, Salamagas), Filakio è stato ristrutturato con un investimento di 860mila euro. La polizia non lascia entrare i giornalisti e i migranti tentano di comunicare, con cartelli in inglese, attraverso le sbarre delle finestre: “Il governo greco ha trasformato i rifugiati in schiavi”, “Vogliamo libertà e pace”, “Non siamo criminali”, “Aiutateci”.
Dalla finestra parla Hussein: “Sono iraniano, facevo canzoni pop a tema politico e per questo sono dovuto scappare”, grida. Racconta dell’avvocato di Atene al quale lui e molti altri hanno pagato 800 euro a testa, e che ora non risponde più al cellulare. “Possiamo uscire 5 minuti al giorno, e telefonare una
Sul fiume
Arda, affluente dell’Evros
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Il capo della polizia di Orestiada assicura che “le
condizioni di sovraffollamento non si ripeteranno, perché con le nuove
disposizioni i migranti vengono deportati subito”. La nuova strategia,
comunque, è di non fargli mettere piede su suolo Schengen. “Spesso, ad
accompagnare i migranti fino al nostro confine erano gli stessi militari
turchi. Per convincerli a collaborare con noi, gli portiamo dei regali, come
vino o formaggio”, racconta una poliziotta greca che preferisce restare
anonima. “Credo che la popolazione ci veda bene”, afferma Ed Palings, un
ufficiale olandese in missione per un mese. Non è autorizzato a fornire
informazioni sulla missione Frontex, ma l’esperienza di conoscere poliziotti da
tutta Europa gli pare stimolante. Dall’altra parte del confine, in Turchia, gli uomini in
divisa per le strade sono molti meno. L’abbigliamento femminile spazia dal velo
alla minigonna, dal caftano nero ai calzoni larghi. La prima città che si
incontra è Karagac, fino al 1922 si chiamava Orestiada ed era abitata da greci.
Fu il trattato di Losanna, siglato dopo la Grande guerra, a imporre di cedere
alla Turchia questo tratto di terra. Dal lato turco, la decisione si celebra
con una statua monumentale. Dal lato greco, a Nea Orestiada, il museo cittadino
si apre con un’installazione di cubi in plexiglass pieni di terra, quella dei
villaggi che un tempo erano greci.
Da Orestiada, città di profughi, molti partirono come gastarbeiter inGermania ,
per guadagnare qualcosa di più di quello che si poteva ottenere da vigneti e
pannocchie. Ora, l’economia locale ruota attorno al respingimento di altri
profughi. Tolis, 27 anni, quando non è in servizio come poliziotto aiuta la
madre al bar. Per 6 anni ha lavorato ad Atene, da poco l’emergenza migranti lo
ha riportato qui. “Pochi giorni fa, su un’isola, uno di loro ha stuprato e
ridotto in fin di vita una ragazzina – racconta: – Se succedesse a mia figlia,
vorrei che il colpevole fosse evirato”, afferma deciso. Ha votato Alba Dorata,
dichiara, “per difendere il mio paese e fermare questa invasione”.
In città, ammette il capo della polizia, “non c’è stato un aumento di reati a causa degli stranieri, anche perché se ne vanno subito, diretti ad Alexandroupoli, poi ad Atene”. Eppure, alla popolazione l’“invasione” non piace. “Davanti ai giornalisti piangono, ma a noi rubano la frutta”, racconta a gesti Voula, energica cinquantenne che gestisce il minuscolo bar di Filakio.
Sidirò è un villaggio a una cinquantina di chilometri a sud, abitato da musulmani di lingua turca. Poche case, una moschea, una pompa di benzina gestita dal muftì Mohammed Sharif. È lui, assieme alla moglie Fatme, a occuparsi delle sepolture dei migranti che nella traversata dell’Evros trovano la morte. L’ultimo corpo, dei 7 scoperti nel 2012, è arrivato a metà agosto. Fatme lava i cadaveri delle donne secondo il rituale islamico. “Anche bambine”, precisa con lo sguardo fermo, le sopracciglia corrucciate sul volto da contadina.
Il cimitero è una collina con decine di cumuli di terra, alcuni coperti di sterpaglie. Non ci sono nomi né cartelli, solo un cancello che un ragazzinodel
villaggio apre e chiude. “Sono tombe individuali”, precisa Sharif. “Per le sepolture
il muftì riceve un contributo dal governo greco”, spiega ancora l’avvocato
Eleni Velivasaki, “perché le fosse comuni sono vietate”.
Intanto, la porta orientale d’Europa si è spostata più a Sud, nelle isole dell’Egeo vicine alla costa turca. Il 6 settembre 2012, secondo l’agenzia Ekathimerini, 58 persone sono morte nel naufragio di un barcone salpato da Izmir e incidenti in mare vicino Lesvos sono stati denunciati da Amnesty international a dicembre 2012 e marzo 2013.
Aprile 11, 2013
http://partiallyfree.wordpress.com/2013/04/11/evros-grecia-un-nuovo-muro-divide-asia-ed-europa/
Da Orestiada, città di profughi, molti partirono come gastarbeiter in
In città, ammette il capo della polizia, “non c’è stato un aumento di reati a causa degli stranieri, anche perché se ne vanno subito, diretti ad Alexandroupoli, poi ad Atene”. Eppure, alla popolazione l’“invasione” non piace. “Davanti ai giornalisti piangono, ma a noi rubano la frutta”, racconta a gesti Voula, energica cinquantenne che gestisce il minuscolo bar di Filakio.
Sidirò è un villaggio a una cinquantina di chilometri a sud, abitato da musulmani di lingua turca. Poche case, una moschea, una pompa di benzina gestita dal muftì Mohammed Sharif. È lui, assieme alla moglie Fatme, a occuparsi delle sepolture dei migranti che nella traversata dell’Evros trovano la morte. L’ultimo corpo, dei 7 scoperti nel 2012, è arrivato a metà agosto. Fatme lava i cadaveri delle donne secondo il rituale islamico. “Anche bambine”, precisa con lo sguardo fermo, le sopracciglia corrucciate sul volto da contadina.
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Il cimitero è una collina con decine di cumuli di terra, alcuni coperti di sterpaglie. Non ci sono nomi né cartelli, solo un cancello che un ragazzino
Intanto, la porta orientale d’Europa si è spostata più a Sud, nelle isole dell’Egeo vicine alla costa turca. Il 6 settembre 2012, secondo l’agenzia Ekathimerini, 58 persone sono morte nel naufragio di un barcone salpato da Izmir e incidenti in mare vicino Lesvos sono stati denunciati da Amnesty international a dicembre 2012 e marzo 2013.
Aprile 11, 2013
http://partiallyfree.wordpress.com/2013/04/11/evros-grecia-un-nuovo-muro-divide-asia-ed-europa/